Coltivata in epoche storiche antiche in Asia e il Medio Oriente, la canapa fornisce da millenni un’ottima fibra tessile. La produzione commerciale di canapa in occidente è decollata nel XVIII secolo, anche se coltivata nel XVI secolo nell’Inghilterra orientale. A causa della espansione coloniale e navale dell’epoca, le economie necessitavano di grandi quantità di canapa per corde e stoppa.
Importanti paesi produttori sono Cina, Corea del Nord, Ungheria, ex Jugoslavia, Romania, Polonia, Francia e Italia. La fibra tessile di canapa viene ottenuta dal floema o libro, dei fusti di piante di Cannabis sativa e altre simili congeneri.
Le fibre, tuttora largamente utilizzate dagli idraulici come guarnizione, sono state importanti grezzi per la produzione di tessili e corde. Per centinaia di anni, fino alla seconda metà del Novecento sono state la materia prima per la produzione di carta.
La coltura della canapa per usi tessili ha un’antica tradizione in Italia, veniva usata fin dall’antichità per tessuti resistenti e cordame. Molto legata all’espandersi delle Repubbliche marinare, che l’utilizzavano grandemente per corde e vele delle proprie flotte di guerra. La tradizione di utilizzarla per telerie ad uso domestico è molto antica, le tovaglie di canapa in Romagna decorate con stampi di rame nei due classici colori ruggine e verde sono oggetti di artigianato che continuano ad essere prodotti ancora oggi.
In passato la coltivazione della canapa era comune nelle zone mediterranee e centro europee. Anzitutto perché questa pianta cresceva su terreni difficili da coltivare con altre piante industriali (terreni sabbiosi e zone paludose nelle pianure dei fiumi), inoltre perché vi era una forte richiesta di piante così polivalenti e a buon mercato, infatti la canapa era utile per produrre sostanze “oleose” (per l’illuminazione), “fibrose” (fibre tessili, carta, corda) e di mangime per il bestiame produttivo.
Durante i secoli del trionfo della vela e delle grandi conquiste marittime europee, la domanda di tele e cordami assicurò la straordinaria ricchezza dei comprensori, che rifornivano le canape di qualità migliori per l’armamento navale. In Italia eccelsero tra le terre da canapa Bologna e Ferrara. In queste zone ancora oggi sono visibili nella campagna i cosiddetti “maceri”, piccoli laghetti artificiali utilizzati per mantenere immersi in acqua, i tronchi leggeri della canapa raccolti in “fascine”, posti sotto il peso di grossi sassi arrotondati, che solitamente venivano conservati ai bordi del macero. Dopo alcuni giorni le fibre esterne al tronco venivano staccate con facilità, recuperate e mandate ai filatoi. I resti secchi degli stessi tronchi decorticati venivano usati poi come combustibile povero (in dialetto ferrarese questi tronchi fragili e leggeri, ridotti in pezzetti, venivano chiamati stich). La vitalità dell’economia canapicola felsinea è testimoniata dal maggior agronomo bolognese del Seicento, Vincenzo Tanara. Questi, con una lunga e accurata descrizione, ci tramanda la tecnica colturale della canapa.[3]. Grazie alla qualità delle sue canape l’Italia divenne il secondo produttore mondiale ed assurse a primo fornitore della marina britannica. Il tramonto della produzione canapiera iniziò con la diffusione delle prime navi a carbone, e fu, per le province canapicole, una lenta agonia, che si protrasse lungo un secolo, costringendo alla ristrutturazione di tutte le rotazioni agrarie.
Dopo la colonizzazione britannica dell’India e la rivoluzione agricola negli Stati del sud degli USA, si ebbe un ulteriore calo di produzione della canapa, perché i tessili di cotone e juta avevano prezzi molto concorrenziali rispetto alle altre fibre. Il successivo uso del petrolio fece poi calare i prezzi dei combustibili per l’illuminazione. Dopo la prima guerra mondiale, si ebbe un ulteriore calo di produzione, quando le corde ottenute da sostanze sintetiche sostituirono pian piano le corde di canapa e si sviluppò la tecnica per produrre la carta dal legno.
Durante la seconda guerra mondiale, la produzione mediterranea ritornò per un breve periodo ad aumentare velocemente, perché l’isolamento commerciale indotto dal conflitto, fece sì che tornassero convenienti le produzioni di fibre tessili e gli oli sativi della canapa. Esisteva inoltre l’esigenza di materie prime contenenti cellulosa da cui poter ricavare esplosivi, passando attraverso la nitrocellulosa.
Il vero colpo di grazia per la coltivazione della canapa si ebbe in seguito del Marijuana Tax Act datato 1937 dove la si mise al bando negli USA e poi di riflesso in gran parte del resto del mondo. La famosa casa editoriale/cartaria Hearst, la maggior sostenitrice tramite i suoi quotidiani della campagna anti cannabis, aveva appena effettuato enormi investimenti sulla carta da albero. Contemporaneamente la DuPont brevettò il Nylon. Secondo alcuni studiosi tutte queste non furono semplici coincidenze[6]. Al riguardo, l’americano Jack Herer pubblicò il best seller The Emperor Wears No Clothes.
Fonte: Wikipedia